La preparazione del “caviaro”, il caviale, era ben nota nel Quattrocento attraverso la lavorazione delle uova di storione, pesci di origine preistorica che al tempo di Maestro Martino vivevano numerosi nel Ticino, nel Po e in altri fiumi della Pianura Padana. Si hanno notizie del consumo di “caviaro” e di scambi di doni di questo alimento alla corte sforzesca e tra questa e quelle mantovana ed estense. Nel1471 l’umanista e gastronomo Bartolomeo Sacchi, detto il Platina, descriveva “uova di storione condite, salate, che prendono il nome di caviare”. Si dovrà a Cristoforo di Messisbugo la prima citazione conosciuta della preparazione delle uova di “storione beluga”, qualità più grande e di maggior pregio di questo pesce, estintasi nel ferrarese dopo la metà del Novecento.
Maestro Martino offre due interessanti ricette: una per la preparazione del caviale da conservare, l’altra per gustarlo cotto, su pane abbrustolito in funzione di crostino. È possibile, vista la seconda ricetta, che le uova di storione salate e conservate risultassero un po’ più asciutte e compatte dell’odierno caviale, se si potevano tagliare in fettine…
“…Et per fare il caviaro prendirai l’ova del storione a quella
stagione et tempo che sonno megliori li storioni, et cava fora de le dicte
ova tucti quelli nervi che hanno per dentro, lavandole con bono
aceto bianco, overo con bono vino bianco. Et poste sopra una tavola
le lasciarai sciuccare, poi le mettirai in qualche vaso salandole con
discretione tanto che basti, et menale molto bene inseme con la mano,
ma dextramente, per romperle manco che sia possibile. Et fatto questo
haverai un sacco ben bianco di tela un poco rada, et buttirali
dentro questo caviaro per un dì et una notte, perché si coli fora quella
acqua che fa il caviaro. Et facto questo il reponirai in un vaso
ben calcato et ben stretto, cioè premendolo molto bene con le mani.
Et farai nel fondo del ditto vaso tre o quattro buscitti [buchetti] per i
quali possa uscire la humidità, se non fusse ben colato; tenendo
il ditto vaso ben coperto, poterai magnare del ditto caviaro a tuo
piacere…”
“Habi de le fette del pane bruscolato [abbrustolito] un pochetto tanto che siano
un poco colorite, et taglia del caviaro in fette simile a quelle de
lo pane di grandeza, ma uno pocho più sottili, et distenderale sopra
il pane, et mettendo le ditte fette sopra la ponta del coltello o una
forcina atta a tal mistero, le monstrarai all’aere del foco tanto
che ‘l caviaro s’indurisca et facci a modo d’una crosta un poco
colorita. Item il cocirai ad un altro modo lavandolo prima molto bene in
acqua tepida perché non sia tanto salato, et haverai de bone herbicine
tagliate menute, et una mollica di pane bianco grattusciata, con
un poco di cipolla tagliata menuta et soffritta un poco, et un poco
di pepe, sopragiognendovi un bicchiero d’acqua, mescolarai tucte
queste cose inseme col caviaro et farane una frittata o più, frigendola
como se fanno quelle dell’ova…”