Il pangiallo, meglio noto come pangiallo romano o “pangiall’oro”, è un dolce tipico laziale, che ha origini antichissime risalendo alla Roma imperiale e collocazione temporale nel periodo del solstizio d’inverno. Il celebre cuoco Marco Gavio Apicio, vissuto tra I secolo a.C. e I secolo d.C., per la sua preparazione prescriveva: “Mescola nel miele pepato del vino puro, uva passita e della ruta. Unisci a questi ingredienti pinoli, noci e farina d’orzo. Aggiungi le noci raccolte nella città di Avella, tostate e sminuzzate, poi servi in tavola”.
A quei tempi distribuire dolci dorati durante la festa del solstizio era di buon auspicio per il ritorno della bella stagione e della luce del Sole. Il pangiallo si presentava come un impasto morbido a cui veniva fatta assumere una forma tondeggiante o a cupola: essendo ricoperto da uno strato di pastella d’uovo, con la cottura presentava una sottile crosta dorata, che rappresentava appunto il colore del Sole.
Nel Medioevo nelle comunità agricole costituiva uno dei doni natalizi che le mogli dei contadini facevano ai notabili: allora nell’impasto del pangiallo comparivano anche miele, cedro candito, zafferano e altre spezie, che lo rendevano simile al panpepato toscano. La forte presenza di pepe ne sottolineava l’appartenenza all’antica tradizione dolciaria speziata dell’Italia centrale. In Tuscia, dove l’impasto di questo dolce si arricchiva di fichi secchi, assenti in area romana, la ricetta veniva tramandata oralmente di madre in figlia e si basava solo su ingredienti locali. Il pangiallo ha subito numerose trasformazioni durante i secoli: recentemente si aggiungono alla ricetta tradizionale cioccolato, pistacchi, cannella, uva passa