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Può essere interessante fare una piccola digressione dai ricettari di Maestro Martino e del Messisbugo per un accenno alle “torte“, ovvero ai pasticci di carne in crosta, dei periodi di grasso. La lettura del trecentesco “Liber de coquina”, il più antico ricettario del mondo occidentale giuntoci, compilato alla corte angioina di Napoli e rappresentante una delle testimonianze fondamentali delle abitudini alimentari presso le corti italiane ed europee del Medioevo, può illuminarci indirettamente sulla “sostanza”, o se si vuole sulla pesantezza, delle preparazioni dell’epoca e sul consumo e sull’abuso di carne presso i ceti alti, che consideravano proprio il consumo carneo manifestazione di potere e di superiorità sociale.

Torta de montano” – Era una torta (pasticcio di carne) scoperta, con un ripieno a vista versato sulla sfoglia che poteva variare a seconda delle occasioni, ma che generalmente si basava su salsicce cotte tagliate a pezzi con nepitella e serpillo, legate da un battuto di lardo e di prosciutto cotto mescolati, legati con formaggio fresco e uova. Si potevano aggiungere alle salsicce della trippa o dei pezzi di carne di gallina.

Torta de pancia de porco” – Era una torta tradizionale, cioè con due croste di pasta sfoglia che racchiudevano un ripieno costituito da pancetta di maiale (la “pancia de porco“), formaggio, uva passa, miele, spezie dolci e forti, il tutto legato da uova. La torta aveva un sapore dolce e veniva infatti spolverizzata, ancora calda, di zucchero.

Torta de Romania” – Il suo nome derivava dall’origine, reale o presunta, della preparazione: l’area italiana, di tradizione amministrativa bizantina, comprendente l’attuale Romagna e corrispondente ai territori affacciati sull’Adriatico centro-settentrionale, dalle Marche fino a Venezia. Era una torta di pollame arricchita da ingredienti sostanziosi: oltre alla carne di pollo, soffritta nel lardo con spezie, formaggio (caciotta triturata), pinoli, uva passa, fichi secchi, altre uova, zenzero, cinnamomo, chiodi di garofano, zafferano. La carne di pollo, con il suo ricco intingolo, veniva disposta sulla pasta sfoglia alternata a strati di palline di formaggio (caciottine amalgamate con uova), e chiusa da un secondo disco di sfoglia, che dava alla preparazione l’aspetto di una “torta”, cioè di un pasticcio di carne il cui gusto, come nel caso della “torta” precedente, doveva virare al dolce.