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Le origini della mostarda sono più antiche del suo nome: Nicandro di Colofone, nel II secolo a.C., usava già i semi di senape, pestati con sale e uva passa, e mescolati poi ad aceto e mosto bianco, per condire una conserva di rape affettate. Il nome mostarda deriva da “mustum ardens”, mosto ardente, perché il composto era a base di mosto (ma anche miele e zucchero), senape e aceto (o agresto o vino aspro). I semi di senape sprigionano il loro caratteristico aroma piccante solo quando vengono macinati, diventando farina di senape, e hanno un gusto forte e irritante, oltre a un odore pungente. Columella annotava che se ne potevano fare delle salse, da servire nei conviti, magari con l’aggiunta di pinoli. Apicio utilizzava una mostarda di senape, miele, aceto e sale per conservare carni già cucinate, come i piedini di maiale lessati, oppure le rape.

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La triplice vocazione della mostarda di fungere da conservante, da salsa e da farmaco, visto che veniva considerata anche un contravveleno (intossicazioni da funghi, morsi di serpi e scorpioni) e un rimedio per l’epilessia, la calcolosi e il mal di gola,  proseguì nel Medioevo. Tuttavia la sua funzione di accompagnamento ai cibi in tavola andò via via prevalendo. A Ferrara ai primi del Cinquecento ogni contrada aveva due o tre banchi di vendita di mostarde, al punto che sulle tavole d’Italia e di Francia era diventata una delle tre salse di base, assieme alla verde e alla camellina. Il progressivo ammorbidimento del gusto è provato dalla diluizione dell’aceto con il brodo (“mostarda francese”) o con il vino, fino alla scomparsa dell’aceto stesso e alla diffusione della “mostarda dolce”.

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