Il nome dato a questa preparazione da Maestro Martino de’ Rossi nel suo Libro de Arte Coquinaria è improprio, perché l’ingrediente delle frittelle non è la cosiddetta “gioncata” (formaggio di latte cagliato non salato che traeva il nome dai panieri di giunco intrecciato in cui veniva messo a scolare), bensì il residuo sieroso spremuto dalla “gioncata” (o anche dal semplice latte cagliato), mescolato con poca farina, albume d’uovo, zucchero e acqua rosata, e messo a bocconcini a friggere nel burro o nello strutto.
“Piglia la ioncata, et con l’agliata [salsa d’aglio generalmente a base di solo aglio e aceto] mittila in la stamegna [setaccio a maglie strette] tanto che ne sia bene uscito quello sero o aqua fa la ditta ioncata. Et facto questo prendirai quel sero rimasto in la stamegna, et con un poco di fiore di farina, di biancho d’ovo secundo la quantità che voi fare, col zuccaro et dell’acqua rosata mescolarai queste cose bene inseme. Et questa tal compositione non vole essere troppo stretta, facendo queste frittelle con il cocchiaro a poco a poco, grande o piccole como ti piace; et farale frigere in bono strutto o butiro [burro]”.
Esisteva una variante di “frictelle de riso”, per cui il procedimento era identico, partendo però non dal residuo spremuto della “gioncata” bensì da una base di riso cotto “molto bene ne lo lacte, et cavandolo fora per farne frittelle observerai l’ordine et modo scripto di sopra, excepto che non gli hai a mettere né caso né altro lacte”.